Come Affrontare il Fenomeno delle Baby Gang e del Bullismo
Per parlare del preoccupante fenomeno delle baby gang e del bullismo, abbiamo intervistato Stefano Raffaele, psicoterapeuta con anni di esperienza nel trattare con adolescenti e giovani, con cui abbiamo esplorato le cause e le possibili soluzioni.
Cosa sono le baby gang e come si collegano al fenomeno del bullismo?
Per identificare i fenomeni delle babygang e del bullismo, dobbiamo necessariamente partire dalla definizione di bullismo.
Gianluca Gini, professore di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’Università degli Studi di Padova, definisce il fenomeno del bullismo come una forma di comportamento aggressivo di tipo prevalentemente proattivo in cui uno o più bulli/e aggrediscono ripetutamente un/a compagno/a di scuola (la vittima) che non è in grado di difendersi.
Ciò che caratterizza il comportamento del bullo è l’aggressività che viene solitamente rivolta verso i coetanei, ma che può anche indirizzarsi nei confronti di insegnanti o genitori. I bulli sono per la maggior parte impulsivi, con un forte bisogno di dominanza sugli altri. Spesso presentano una bassa capacità di autocontrollo, gestione della frustrazione e soprattutto difficoltà nel sottostare alle regole. Pertanto, tendono a sviluppare comportamenti violenti e aggressivi per raggiungere i propri scopi e a mostrare una sovrastima di sé.
Quali sono i possibili fattori alla base del comportamento aggressivo?
Numerosi studi hanno evidenziato come sia il temperamento del bambino, sia la mancanza di affetto e calore da parte dei caregivers nella prima infanzia, ma anche uno stile genitoriale permissivista o una prassi educativa autoritaria basata su punizioni eccessive, a volte anche fisiche, possono concorrere a tutto ciò. Questi stessi fattori vengono indicati dalla ricerca come possibili cause e fattori di rischio anche per quanto riguarda l’entrata dell’adolescente in una babygang.
Questa similarità tra bullismo e baby gang è riconducibile ad un’ulteriore analogia che vige tra i due fenomeni. Entrambi vedono come protagonisti minori che mettono in atto azioni violente e comportamenti antisociali.
Quali sono le cause principali che portano i giovani a unirsi a queste gang?
Quando si entra a far parte di un gruppo se ne condividono ideali, regole e valori. Si viene influenzati dalle “norme” e dalla pressione del gruppo, a prescindere dagli atteggiamenti e dalle convinzioni personali. Nonostante non sempre si comprenda appieno l’azione prepotente, spesso la pressione del gruppo motiva il giovane a mettere in atto e condividere la prevaricazione.
Inoltre, proprio durante il periodo adolescenziale, l’avere uno status popolare, essere considerato potente e influente nel gruppo dei pari diviene una priorità e rende più probabile il comportamento aggressivo. Pertanto, quando ci si trova all’interno del gruppo dei coetanei, si attivano meccanismi psicologici che portano alla diminuzione dei freni inibitori e a una minore percezione di responsabilità personale, attivando, tra gli altri, quei meccanismi di disimpegno morale del dislocamento e della diffusione di responsabilità, così come identificati da Albert Bandura. Perciò, in un contesto in cui l’aggressività è diffusa, rinforzata e accettata all’interno del gruppo dei pari e le norme di gruppo sono favorevoli alla realizzazione delle prepotenze, il prepotente trova terreno fertile per la messa in atto delle prevaricazioni e anche il compagno non aggressivo impara a giustificare la violenza e a usarla per raggiungere ciò che desidera.
Quali strategie possiamo adottare per intervenire efficacemente contro le baby gang e il bullismo?
Gli interventi che risultano essere più efficaci nella prevenzione e contrasto della prevaricazione sono quelli dove vi è collaborazione e gioco di squadra tra tutti i membri del contesto educativo o della comunità interessati. I soggetti coinvolti sono principalmente il corpo docente e non-docente e la famiglia, ma anche gli adulti di riferimento delle altre agenzie educative del contesto, come per esempio gli oratori, gli spazi di aggregazione e sportivi.
Le strategie da adottare sono l’impiego di metodi disciplinari di sanzione del bullismo, soprattutto ispirati al modello della giustizia riparativa, quindi non mirati alla punizione in sé del prepotente, quanto a ristabilire relazioni positive con la vittima e a promuoverne comportamenti sociali positivi.
In ambito scolastico, è fondamentale organizzare percorsi formativi e incontri psico-educativi per le famiglie, oltre a seminari e conferenze sul tema del bullismo. Devono essere stabilite regole chiare per la gestione della classe e adottate modalità di lavoro come la peer-education e i lavori cooperativi di gruppo. Inoltre, è importante implementare metodi di supervisione nelle aree di attività libera, come i playground.
A questi fattori strutturali si aggiungono la durata e l’intensità delle azioni formative rivolte a insegnanti e alunni, che devono essere il più possibile protratte e continuate nel tempo. Lo psicologo è chiamato a lavorare sempre in sinergia con le altre figure professionali per sensibilizzare sulla tematica della prevaricazione e fornire supporto e supervisione ai vari attori coinvolti.
In che modo le famiglie possono contribuire alla prevenzione di questi fenomeni?
Il cosiddetto monitoring genitoriale è un elemento che può declinarsi sia come fattore di rischio che come fattore protettivo rispetto al fenomeno della devianza minorile.
Riguarda quell’insieme di comportamenti che l’adulto utilizza per conoscere e guidare le esperienze “fuori casa” del minore. Questo è un compito fondamentale e deve basarsi sul giusto equilibrio al fine di guidare e non controllare il ragazzo.
Sappiamo che, quando il bambino entra nell’adolescenza, avverte dentro di sé un crescente bisogno di autonomia e pertanto la relazione genitori-figlio inizia a modificarsi, tanto che al suo interno diventa necessaria una rinegoziazione dei ruoli e delle funzioni. Più ricerche indicano che durante il periodo adolescenziale i genitori faticano a concedere ai figli una graduale libertà d’azione e che, soprattutto, trovano difficoltà a mantenere un controllo sui loro comportamenti. Pertanto, le due principali strategie educative che gli adulti mettono in atto nel tentativo di comprendere i cambiamenti e i comportamenti del figlio sono il sostegno e il controllo. Con sostegno si intende la capacità di ascolto, di responsività emotiva e di dialogo del genitore. Il controllo, invece, riguarda tutto quell’insieme di comportamenti e strategie che il genitore mette in atto per supervisionare il comportamento del giovane. Il comportamento dell’adolescente stesso incide sul monitoraggio, perché con le sue azioni può rendere più agevole la conoscenza di sé ai suoi genitori. I ragazzi che più comunicano spontaneamente con i genitori sono infatti quelli meno coinvolti in episodi antisociali, mentre i ragazzi meno comunicativi sono quelli più esposti all’assunzione di comportamenti devianti.
In che modo la fascia di età influisce sul monitoraggio parentale?
Il monitoraggio ha un’efficacia diversa come fattore di protezione, in base alla fascia d’età dei giovani. Se consideriamo la fascia 14-15 anni, elevati livelli di controllo sono correlati ad un basso coinvolgimento in atti antisociali, ma con l’aumentare dell’età, con un picco nella fascia 18-19 anni, un alto livello di controllo è collegato sempre più ad alti livelli di condotte antisociali.
Questo cambiamento a livello psicologico lo possiamo facilmente comprendere. Infatti, i ragazzi di 18-19 anni hanno già interiorizzato le norme genitoriali e hanno sviluppato capacità di autoregolazione proprie. Per questa ragione, un controllo eccessivo da parte degli adulti viene vissuto come una mancanza di fiducia e un mero ostacolo alla propria autonomia.
Quali sono i segnali di allarme che indicano che un ragazzo potrebbe essere coinvolto in una baby gang?
I segnali possono essere diversi, ma ci sono alcuni indicatori comuni rispetto al coinvolgimento in una baby gang, che includono un cambiamento improvviso nel comportamento, come l’isolamento sociale, il calo del rendimento scolastico, comportamenti aggressivi o violenti, l’eccessivo attaccamento al gruppo di amici e segreti sui loro movimenti o attività, scarsa obbedienza alle regole familiari, con conseguente allontanamento dalla stessa, cambiamento o peggioramento dell’atteggiamento verso adulti e coetanei. Ma anche segnali più evidenti come avere denaro non giustificabile, nuovi oggetti o vestiti costosi.
Quando ci si accorge di un probabile coinvolgimento dei figli in una banda, è importante discuterne immediatamente con loro.
Quali segnali invece indicano che si è vittima di bullismo?
Dal punto di vista della vittima i segnali da non sottovalutare sono un calo del rendimento scolastico; difficoltà a socializzare; un cambiamento improvviso del comportamento con gli amici, a scuola o in altri luoghi dove socializzano; resistenza a frequentare luoghi o eventi che coinvolgono altre persone; cambiamento nelle abitudini alimentari e/o nel sonno; manifestazione di scarsa autostima e umore depresso. Anche segni fisici come lividi o danni agli effetti personali possono essere indizi di bullismo.
Cosa possono fare gli insegnanti e il personale scolastico per aiutare?
La scuola, al pari della famiglia, è un contesto dove si svolge la maggior parte della vita del minore. Pertanto, si configura come uno spazio importante sia di socializzazione che di crescita personale, la cui finalità dovrebbe essere quella di garantire un ambiente sereno e confortevole, nel quale poter sperimentare e sperimentarsi, apprendere e conoscere.
E’ importante favorire, all’interno della scuola, un clima sereno e accogliente, con insegnanti formati a stili educativi corretti, che a loro volta dovranno favorire attività di formazione sul senso di comunità della classe e della scuola, prestando un’attenzione particolare ai primi anni scolastici e ai gruppi appena formatisi.
Dovranno promuovere una cultura del rispetto, dell’integrazione all’interno dell’istituzione scolastica/educativa; realizzare percorsi formativi e incontri rivolti alle famiglie; stabilire all’interno delle classi regole chiare e condivise sulla disciplina e la gestione della classe in caso di comportamenti prevaricanti, puntando su interventi riparativi, di restaurazione di relazioni positive oltre che di problem-solving, affinché sia gli autori di prepotenze che il gruppo dei pari siano sospinti a riflettere ed empatizzare con la vittima e a trovare insieme soluzioni per evitare il ripresentarsi del bullismo.
Questi principi si allineano perfettamente con gli obiettivi della legge bipartisan sul bullismo, che promuove interventi strutturati e misure preventive per combattere il bullismo. Seconda la nuova legge infatti le scuole sono tenute ad istituire un tavolo di monitoraggio formato da rappresentanti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie e degli esperti del settore. Per sostenere maggiormente gli studenti, le scuole potranno fare richiesta tramite accordi regionali del servizio di sostegno psicologico. Inoltre, stabilisce l’obbligo per il dirigente scolastico, che venga a conoscenza di episodi di bullismo e di cyberbullismo, di informare i genitori dei minori coinvolti e la promozione di iniziative di carattere educativo.
È attraverso l’impegno di tutti, famiglie, scuole, esperti, autorità e comunità, che possiamo sperare di contrastare efficacemente il bullismo e le baby gang.